sabato 28 febbraio 2015

Quello che facciamo agli altri lo facciamo a noi stessi.

"Nel corso della giornata, interpretiamo tutto quello che ci succede in modo da non cambiare mai: la colpa non è mai nostra, è sempre degli altri. L'Io personale trasforma tutto a proprio vantaggio. Deformiamo costantemente la realtà per trovare scuse che giustifichino i nostri comportamenti.
Rinchiusi in noi stessi, non ci accorgiamo di essere la causa dei nostri problemi. Ci comportiamo come parassiti del mondo, sempre pronti a chiedere e mai a dare, con l'atteggiamento del cinico soddisfatto, finché a un tratto il mondo ci rifiuta, i nostri progetti si sgretolano e incolpiamo del nostro fallimento la malasorte. Non si può vivere cibandosi dei frutti altrui senza mai seminare.
[...]
Certe persone si credono in diritto di fare qualunque cosa, anche mettere un elefante nel panino. Minimizzano quello che in loro va male, pensando sia inoffensivo e comunque non riprovevole [...]
Per quanto tempo continueremo a interpretare la parte degli innocenti giustificando i nostri gesti e scaricando le nostre responsabilità sul prossimo? Ci sentiamo tranquilli perché minimizziamo i problemi. Diciamo che non è grave. Ma allora perché quello che fa qualcun altro è grave, secondo voi? Vediamo il panino di prosciutto nell'occhio altrui, ma non il panino di elefante nel nostro...
Quello che facciamo agli altri lo facciamo a noi stessi."

(da Cabaret mistico, di A. Jodorowsky)

mercoledì 25 febbraio 2015

Vizio di Protagonismo.

Personalissimo concetto di "Vizio di Protagonismo":

Il "Vizio di protagonismo" è un difetto di lettura e interpretazione che, dettato da un'alterazione della struttura del pensiero, pregiudica il valore di atti o fatti che compongono la realtà che viviamo o la realtà a cui assistiamo.
Il vizio di protagonismo dà luogo ad un'inesattezza della realtà percepita dal soggetto, aumentando in maniera sensibile il suo sentirsi coinvolto in fatti o atti legati alla realtà a cui assiste e nella quale, in verità, non è assolutamente contemplato.





lunedì 9 febbraio 2015

L'estate di Sylvia Plath.


Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.

Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

(Sylvia Plath)
Photo: Roberta Trani, 2013.


domenica 8 febbraio 2015

Fotografia.



"La foto mi colpisce se io la tolgo dal suo solito bla-bla: 'tecnica', 'realtà', 'reportage', 'arte', ecc.
Non dire niente, chiudere gli occhi, lasciare che il particolare risalga da solo  alla coscienza affettiva."

(Roland Barthes, La camera chiara.)

sabato 7 febbraio 2015

Imparare dagli alberi.

"In un certo senso il comportamento emozionale è simile a quello di un albero. Quando un animale ha una ferita, le cellule si rigenerano ed essa si cicatrizza. (Possiamo militare in un partito politico, esserne delusi e poi, senza sentirci in colpa, difendere l'ideologia opposta.) Invece un albero non si rigenera, le sue ferite non si cicatrizzano: esse rimangono aperte per sempre, si nascondono soltanto sotto uno strato protettivo. La ferita così ricoperta rimane intatta e quando marcisce rischia di invadere tutto il tronco.
La vita dell'albero sta tutta in una pellicola di cellule, non più spessa di un foglio di carta, che gli cresce sotto la corteccia. E' la sua unica parte vivente. Il resto del tronco è formato da materia legnosa, una struttura morta che fa da supporto allo strato sottile in cui c'è la vita.
[...]
Mentre assorbe le forze della terra, l'albero nutre con le proprie foglie, i rami secchi e tutta una serie di funghi che crea perché in seguito lo aiutino ad assimilare il nutrimento. Si instaura uno scambio di energia, ricezione e dono. Invece tra gli esseri umani ci capita di incontrare dei parassiti che chiedono soltanto. Succhiano una conoscenza, se la depositano nel cervello e non la condividono con nessuno, ma la tengono lì, senza trasformarla in sentimenti, come un escremento metafisico. In Giappone, ogni volta che si compra qualcosa, si riceve in cambio un piccolo regalo, perché nella tradizione popolare è considerato indegno prendere senza dare.
Ogni anno l'albero crea uno strato che circonda l'intero tronco. Se lo si taglia trasversalmente si possono osservare, sotto forma di anelli concentrici, quali sono stati gli anni buoni e quali i difficili, perché il passato diventa struttura. Se i dodici mesi sono stati piovosi, l'anello è spesso. Se sono stati aridi, l'anello è sottile... [...]
Un po' di tempo dopo essere stato tagliato, il legno, isolato dallo strato esterno, si corrompe. I batteri invadono la ferita e divorano il marciume, che cade a terra trasformandosi in polvere e nutre il terreno. Per questo esistono gli alberi cavi. Un albero cavo rimane vivo perché la sua vita si trova alla periferia, ma non avendo una struttura solida è più debole e potrebbe cadere da un momento all'altro. Quando ciò non accade, l'albero fabbrica delle radici interne che si nutrono del marciume. Interessante metafora: se coviamo nell'animo una profonda tristezza, potremmo farci spuntare delle radici emozionali che si nutrano di tale sentimento. Così la tristezza si trasforma in forza vitale... Diventiamo capaci di non rifiutare la ferita, la accettiamo con il suo dolore finché, trasformata in Coscienza, ci permette di alleviare la tristezza altrui. Quando l'albero subisce una lesione, non potendo cicatrizzare la interiorizza, accettando la sofferenza. Dal desiderio di espellere la sofferenza nascono la depressione, l'autodistruzione, l'abbattimento morale.
Se, invece, lasciamo affondare la sofferenza nel nostro intimo, essa diventa linfa di nuova vita."

(Alejandro Jodorowsky, Cabaret mistico.)
Photo: Roberta Trani. 31 dicembre 2014, Grottaglie.