lunedì 14 gennaio 2013

Tipi da bar.


Guardare attraverso l'obiettivo è un po' porsi al di là del mondo circostante, nascondersi in una camera oscura per poi sorprendere la realtà nel momento in cui la luce ne disegna il volto più espressivo. Agli occhi spetta il compito di riconoscere e risvegliare la Poesia nel continuo scorrere della quotidianità, nel vivere o lasciarsi vivere delle singole storie inquadrate; compito della tecnica e del corpo meccanico è, invece, trascrivere la visione e renderla alla Storia, quella del nostro Tempo.
Un obiettivo che si pone come Obiettivo il risveglio della poesia, svelandone i tempi nel racconto della realtà quotidiana, non può che accettare l'invito a sedersi sullo sgabello di un bar, ordinare qualcosa da bere, guardarsi attorno e cominciare a mettere a fuoco: il Tempo è servito.
Per gli osservatori e ascoltatori non esiste un posto migliore -tavolino, poltrona o bancone che sia- di un bar qualsiasi per assorbire storie e immagini.
I bar, da sempre luoghi interessanti e affascinanti, sono paragonabili a grandi contenitori di storie: espresse o macchiate, versate in tazza bollente o fredda, offerte o pagate, trasparenti o dense, storie imbottigliate o servite in bicchiere. Eccole lì le storie, in fila al bancone, con le tasche piene di Tempi spiccioli e nel portafogli qualche biglietto colorato che non può pagare la Crisi, né quella mondiale, né l’eventuale e conseguente personale. Storie diverse che, a volte, si riversano sullo stesso bancone e in un bicchiere si miscelano, come in un cocktail, annullando distanze e dissapori. Molte sono storie di tempi riempiti e vuotati, fragili come bottiglie di vetro abbandonate ai bordi delle strade; altre sono quelle disperse nell’aria, che bruciano e si raccontano per il tempo di una sigaretta; altre ancora sono quelle sussurrate e confuse nel sovrapporsi delle voci e dei racconti; quelle raccontate con tranquillità e calma, e quelle rovesciate nell’ebbra illusione di avere il totale controllo di Sé e dei "se". Altre storie restano sul fondo, come quando lo zucchero non riesce a sciogliersi completamente nelle tazzine da caffè. 
C’è chi descrive i bar come posti perfetti per i perdi-tempo, chi li descrive come posti rilassanti nei quali rifugiarsi durante o dopo una giornata di lavoro, chi li predilige per la pausa-studio o come luogo di incontro, chi li usa come luogo per mettere a punto progetti e idee. Tutte verità e nessuna bugia, per carità, dipende dai casi e dalle inquadrature. 
Nel complesso, i bar restano i luoghi in cui la realtà è più confusa, ma allo stesso tempo più nitida se la si vuole osservare: un grande contenitore di storie che devono essere ascoltate, quelle dei figli di Tempi spiccioli, gli stessi spiccioli che bastano per prendersi un caffè.
Tempi ristretti in un periodo dilatato, tempi in cui è da “sfigati” non laurearsi entro i ventotto anni, tempi di “bamboccioni” trentenni, tempi di ventenni che non vogliono né lavorare, né studiare; tempi di sogni che inciampano e tornano a gattonare, tempi di ginocchia sbucciate che cedono alla forza di gravità di un’atmosfera che rallenta ogni tipo di percorso. 
Tempi di posa e tempi al di fuori di ogni posa.
Posto lo sguardo al di fuori della camera oscura, vuotando le tasche, faccio il conto degli spiccioli di tempo a disposizione e i Tempi spiccioli in cui mi ritrovo … “con questi chiari di luna” vale la pena sognare e tentare.


[marzo 2012]